venerdì 22 febbraio 2019

DON GIUSEPPE LAVECCHIA: “PER QUESTI 400 DISPERATI FACCIAMO QUEL CHE POSSIAMO CON ACQUA, CIBO, VESTITI, COPERTE. CI AIUTA LA CARITAS DICOCESANA”

LA FELANDINA. IL GHETTO 

LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO 22.2.19

METAPONTO – “Qui succede quel che tutti sappiamo: un pugno nello stomaco. E voi giornalisti, adesso, vedendo questa situazione disumana, non potete rimanere fermi anche a livello emozionale. Speriamo che la vostra opera faccia porre all'attenzione il ghetto de La Felandina”. Lo ha detto al cronista Don Giuseppe Lavecchia, amministratore della parrocchia di San Leone Magno e parroco di Bernalda, nel corso del nostro “sopralluogo” nella grande baraccopoli nel cuore di quel Metapontino “fiore all'occhiello” dell'agricoltura di qualità da esportare nel mondo e del turismo del futuro. Fuori dalla tendopoli, intanto, Polizia e carabinieri, vigilavano. Anche se tutto appariva tranquillo. Ma cosa fa la chiesa di Papa Francesco per queste persone che vivono nel degrado più assoluto? “Noi gestiamo le urgenze – ha risposto il nostro interlocutore - . Non è nelle nostre forze risolvere il problema alla radice. E le urgenze capitano più volte al giorno. La gente che vive qui ci chiede di tutto sia a Metaponto sia a Bernalda. C'è bisogno di acqua, vestiti, coperte, cibo. E ci aiuta molto la Caritas diocesana. Tutto quello che abbiamo lo investiamo qui”. Un lavoro assiduo, costante, senza i riflettori puntati addosso. In silenzio. La carità si fa non si pubblicizza. Anche per evitare che quanti vivono nella tendopoli possano essere strumentalizzati. Ma ecco ancora don Giuseppe: “Io ogni volta che vengo qui mi accompagnano le forze dell'ordine. Ma si tratta di gente assolutamente non violenta. Anzi. Mi dispiace che qualcuno abbia definito il popolo di Metaponto e Bernalda come xenofobo e neofascista: non è assolutamente vero. E' stato creato, ad esempio, un comitato civico con la partecipazione attiva di parrocchie e Croce rossa per risolvere il problema dell'acqua. Ma lei capisce bene che allacciare utenze, a parte la difficoltà tecnica del caso, giustificherebbe una situazione disumana. Non si può vivere in capanne del genere con il rischio di incendi e malattie ed altre cose del genere. Noi, ripeto, facciamo quel che possiamo. Che succederà di questo campo? Non lo sappiamo”. 

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