DI CORONAVIRUS I PROFESSIONISTI A CONTATTO CON LA GENTE POSSONO MORIRE. IERI ALTRI DUE DECESSI. E SONO 2700, TRA GENERALISTI ED OSPEDALIERI, I CONTAGIATI, IL 10% DEL TOTALE
La
notizia è di quelle che ti lasciano col fiato sospeso. Due medici di
famiglia del Materano sono stati sottoposti nella giornata di oggi a
tampone per la ricerca del Coronavirus. I risultati si conosceranno
domani. Ma, intanto, noi tutti, con loro ed i loro familiari, siamo
in ansia. Non fornirò ai lettori elementi che possano far risalire
ai due professionisti in questione. E ciò per il sacro rispetto
della loro privacy e per non ingenerare allarme tra i cittadini.
Sperando che il tampone dia esito negativo per entrambi. Dirò solo
che si tratta di due colleghi che hanno avuto la sola colpa di
lavorare per risolvere le problematiche di salute dei loro assistiti
nel centro (Matera città od uno dei 31 comuni della provincia) dove
esplicano la loro attività. Magari senza quei dispositivi di
protezione individuali necessari in questo momento. La Asm, sinora,
ha consegnato ad ognuno di noi soltanto tre mascherine con
respiratore. Le trattiamo religiosamente, riusando quasi sempre la
stessa per risparmiare le altre due. Guanti, copriscarpe, camici
monouso, li ha chi è riuscito a comprarseli da se. Il fatto, perciò,
è grave. Nel caso di contagio, circa tremila assistiti rimarranno,
non si sa per quanto tempo, senza assistenza sanitaria. Già. Tutti
devono riflettere. I medici di Covid-19 possono morire. Ieri se ne
sono andati altri due. Così, Silvestro Scotti, segretario generale
del mio sindacato, la Fimmg: “Ci ha lasciato un altro collega. In
questo momento è difficile restare lucidi, tenere duro e andare
avanti. Mario Giovita avrebbe festeggiato il suo compleanno il
prossimo 27 aprile, ed è alla sua famiglia che va il nostro più
sincero abbraccio. Un'altra vita che si sarebbe potuta salvare se
solo ci avessero dotato dei dispositivi di protezione individuale.
Purtroppo, le amministrazioni, politiche e sanitarie, hanno
abbandonato i medici della medicina generale al loro destino.
Lasciandoli privi di quei dispositivi di protezione individuale che
per noi sono anche strumenti di protezione collettiva”. E sono
circa 2.700, tra generalisti ed ospedalieri, gli ammalati di
Coronavirus, alcuni gravissimi. Si tratta del 10 per cento del totale
dei contagiati. Hanno preso il virus in corsia o sul territorio
spesso perché non avevano gli strumenti giusti o i ricambi
sufficienti. Quale è la riflessione? Che lo Stato, nella sua
interezza, deve tutelare i suoi medici. Come debbono tutelarli i
cittadini. Aiutiamoci l'un l'altro. I pazienti debbono capire che
proteggendo i loro curanti proteggono se stessi. Ieri mi hanno
chiamato prima la moglie e poi la figlia di un paziente anziano,
cardiopatico, che aveva battuto il ginocchio sette giorni prima e che
aveva “una palla” nella sede del trauma non riuscendo più a
muovere l'arto. Hanno insistito perchè andassi a casa del loro
congiunto. Ho accettato. Mentre andavo ad effettuare la visita
domiciliare ho chiamato il mio assistito per chiedergli se avesse
incontrato nei giorni precedenti casi accertati o sospetti o
familiari di casi sospetti di infezione di Coronavirus spiegandogli
che quel mio accesso poteva mettere a rischio la sua e la mia vita
esponendo entrambi al pericolo di contagio. La sua risposta: “No,
dottore, non venite. Io non ho dolore al ginocchio, lo muovo bene, è
solo un po' gonfio. Non venite. Sapete, mia moglie e mia figlia sono
apprensive...”. Ho assegnato la terapia al paziente ed ho fatto
dietro front. Sono questi comportamenti quelli da evitare se vogliamo
uscire dall'emergenza. La gente deve capire che esiste un problema
collettivo più importante di quello, pur rilevante, individuale.
Altrimenti, per concludere ancora con Scotti: “Continuando così la
domanda da porsi non è se ma quando saremo contagiati”.
E l'angoscia per l'esito del tampone dei nostri due amici medici di
famiglia del Materano si fa spasmodica. Speriamo bene.
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