LA PAURA SI
CHIAMA “DEREGULATION” CON LE COMPAGNIE CHE POTREBBERO PERFORARE SENZA SOSTA. IL
TIMORE È TUTTO NEL PITESAI, IL PIANO PER LA TRANSIZIONE ENERGETICA SOSTENIBILE
DELLE AREE IDONEE, RECENTEMENTE ADOTTATO DAL MINISTRO DELLA TRANSIZIONE
ECOLOGICA, ALBERTO CINGOLANI. MA 9 SINDACI DELLA BASILICATA, ASSIEME AD ALTRI
15 DI TUTTA ITALIA, HANNO PRESENTATO RICORSO AL TAR DEL LAZIO PER CHIEDERE
L’ANNULLAMENTO DEL PIANO. DI SEGUITO L’ARTICOLO DI MASSIMO BRANCATI, “NOI E LA GUERRA. TRIVELLE PIÙ “LIBERE! I SINDACI LUCANI NON CI STANNO E FANNO MURO”, LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO
MAPPA PITESAI BASILICATA (FOTO LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO) |
FONTE: LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO
TRIVELLE PIÙ «LIBERE» I SINDACI LUCANI NON CI STANNO E FANNO MURO
IL PIANO PER LA TRANSIZIONE ENERGETICA ALLENTA LA MORSA SUI DIVIETI DI PERFORAZIONE E SI TEME LA DEREGULATION
22 APRILE 2022
MASSIMO BRANCATI
POTENZA - La paura è che il cambio di rotta si traduca in «deregulation». Con le trivelle che potrebbero perforare senza sosta, spinte dalla necessità nazionale di aumentare la produzione di gas e petrolio sulla scia della guerra in Ucraina. Il timore è tutto condensato nel Pitesai, il Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee, recentemente adottato dal Ministero della Transizione ecologica.
RICORSO Come abbiamo riferito nei giorni scorsi, nove comuni lucani (Atella, Baragiano, Barile, Lavello, Maschito, Montemilone, Rionero, Ripacandida e Venosa) hanno firmato un ricorso al Tar del Lazio per chiedere l’annullamento del Pitesai. Quattro le motivazioni contenute in 28 pagine, siglate da altri 15 comuni italiani.
Il principale è quello della mancata zonazione dei territori. «Ci sono sì dei vincoli assoluti – spiega il legale delle amministrazioni, l'avvocato Paolo Colasante - ma sono quelli che esistevano già, mentre gli altri vincoli posti sono tutti relativi e pertanto superabili».
DOSSIER Nelle pagine del ricorso si sottolinea come il Pitesai «solo in
apparenza» sembra un atto pianificatorio, «posto che, se si prescinde dai
vincoli direttamente derivanti dalla legge, sfugge ogni effettiva e consolidata
zonazione del territorio nazionale». A giudizio dei Comuni, il piano
realizzerebbe obiettivi diversi rispetto a quelli che gli sono stati assegnati.
«Lo stesso acronimo Pitesai – si legge nel ricorso - sta ad indicare che il
Piano avrebbe dovuto individuare aree idonee e non già criteri flessibili,
giacché l’obiettivo era proprio quello di favorire la transizione energetica».
Invece, «anziché accompagnare la transizione ecologica del sistema energetico
nazionale in un'ottica di decarbonizzazione e di rispettare gli impegni assunti
sul piano europeo (riduzione delle emissioni in atmosfera entro il 2030
rispetto ai livelli del 1990 e neutralità climatica entro il 2050), si aprono
le porte alla discrezionalità – più politica che tecnica – della pubblica
amministrazione nel decidere di volta in volta se una certa area sia idonea o
no ad accogliere quelle attività».
Oltre alla contestazione sulla zonazione e a quella sul ritardo con cui il piano sarebbe stato approvato, secondo i Comuni firmatari del ricorso, il Pitesai sarebbe in contrasto anche con la normativa e la giurisprudenza europea, in quanto non tiene in considerazione gli effetti cumulativi dei progetti esistenti e di quelli che potranno essere richiesti.
SCENARIO «La pianificazione voluta dal legislatore - si legge nel ricorso - dovrebbe tener conto, in un’ottica complessiva, dei titoli minerari esistenti e di quelli per i quali sarà possibile presentare istanze per l’inizio delle attività». Nel fare questo, «avrebbe dovuto valutare se la sommatoria dei progetti esistenti e potenziali possa recare danno al bene ambientale». Ma, secondo i Comuni, nel caso dei Pitesai «non vi è traccia alcuna di valutazioni circa gli effetti cumulativi dei progetti di ricerca e di coltivazione esistenti e potenziali».
ACCORDO C'è, infine, la contestazione legata all’acquisizione dell’intesa con la Conferenza unificata, a condizione che, nelle aree idonee definite dal piano, il prosieguo delle attività connesse ai permessi di ricerca di idrocarburi si limitino esclusivamente a ricercare giacimenti di gas e non di petrolio. Nel ricorso si sostiene che «l’articolo. 11-ter, comma primo, del decreto legge n. 135 del 2018, nel prevedere il Pitesai, stabilisce che il piano abbia il compito di «individuare un quadro definito di riferimento delle aree ove è consentito lo svolgimento delle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi», senza distinguere fra idrocarburi liquidi e gassosi e, anzi, tutte le volte in cui i successivi commi 4, 5 e 6 menzionano i permessi di ricerca di idrocarburi, essi si riferiscono espressamente a entrambe le tipologie».
PERMESSI A giudizio dei comuni ricorrenti «appare più che evidente – anzitutto dal punto di vista logico prima ancora che giuridico - che i permessi rilasciati per condurre le indagini sul terreno alla ricerca di idrocarburi non possano «pre-conoscere» il contenuto di quanto deve essere ancora cercato e, pertanto, non potranno mai essere accordati per una sola tipologia di idrocarburi. Sarà infatti proprio la ricerca a determinare l’eventuale ritrovamento di idrocarburi e solo allora – dopo la perforazione del pozzo esplorativo – si potrà sapere se si tratterà di idrocarburi liquidi o gassosi. Ecco perché – si legge ancora nel ricorso - anche la legge n. 9 del 1991, nel disciplinare i permessi di ricerca si riferisce indifferentemente a entrambe le tipologie di idrocarburi ed ecco, quindi, spiegato il motivo per cui la limitazione posta dal Pitesai non sia conforme, non solo alla base giuridica di quest’ultimo, ma anche alla fonte normativa che regola i permessi di ricerca».
Nessun commento:
Posta un commento