sabato 11 novembre 2023

MAXIPROCESSO IENA 2. LA CORTE DI CASSAZIONE HA ANNULLATO LE CONDANNE A 10 E 8 ANNI DI RECLUSIONE, PER ESTORSIONE, A RENATO MARTORANO E DORINO STEFANUTTI

ERANO ACCUSATI DI ESTORSIONE. NEL 2004, GLI ELEMENTI RACCOLTI DAI CARABINIERI DEL ROS, COORDINATI DAI PM HENRY JOHN WOODCOCK E VINCENZO MONTEMURRO, AVEVANO PORTATO ALL’EMISSIONE DI ORDINANZE DI ARRESTI PER 52 PERSONE

FONTE ILQUOTIDIANODELSUD.IT

LA MAXI-INCHIESTA SUL CLAN POTENTINO FA FLOP, PRESCRITTI PURE MARTORANO E STEFANUTTI

DI LEO AMATO 

POTENZA – La Corte di Cassazione ha annullato le condanne a 10 e 8 anni di reclusione, per estorsione, rimediate dai boss potentini Renato Martorano e Dorino Stefanutti al termine del maxi processo Iena2. I giudici di piazza Cavour hanno accolto i ricorsi presentati dai difensori dei due imputati, Enzo Falotico e Pasquale Bartolo per Martorano, e Salvatore Staiano per Stefanutti. Stando ai legali, infatti, le accuse nei confronti dei loro assistiti, relative a fatti commessi tra il 2000 e il 2004, sarebbero state prescritte già nel 2019, al termine del processo di primo grado, quando gli altri 25 coimputati sono stati tutti assolti, o prosciolti, proprio per estinzione del reato.

A “tenere in vita” le contestazioni ai due noti pregiudicati potentini, già condannati in via definitiva per mafia negli anni ‘90, era stata la loro riqualificazione in extremis da parte del pm antimafia Annagloria Piccininni, da estorsione aggravata dalla partecipazione del reo a un’associazione mafiosa, a estorsione aggravata dalla recidiva e dal metodo mafioso. Per aver costretto un imprenditore, Carmine Guarino, a sottoscrivere cambiali per 100mila euro, e averlo picchiato fino a quando non ha acconsentito a pagare 30mila euro in contanti.

Il collegio del Tribunale, infatti, avrebbe escluso l’esistenza di una vera e propria associazione mafiosa riconducibile a Martorano e Stefanutti, liquidando «le contestate infiltrazioni mafiose» come «un probabile tentativo di creare alleanze» con la ‘ndrangheta. E nulla più. Pertanto l’originaria contestazione, privata dell’aggravante originaria del “reo mafioso”, sarebbe stata già prescritta, e soltanto per effetto delle ulteriori e distinte aggravanti contestate, la recidiva e del metodo mafioso, i termini per l’estinzione del reato si sarebbero allungati nuovamente.

Le motivazioni della Cassazione verranno depositate nelle prossime settimane, ma è probabile che ruotino attorno alla principale doglianza dei difensori, per i quali una riqualificazione dell’imputazione come quella compiuta dal pm Piccininni non è sempre possibile. Quindi non può essere consentita in casi come questo, laddove il reato in questione è già prescritto al momento della riqualificazione.

Con l’annullamento delle condanne a Martorano e Stefanutti si chiude in via definitiva, con un sorprendente nulla di fatto, l’inchiesta dell’Antimafia lucana più discussa di sempre, che aveva preso di mira le presunte infiltrazioni dello storico clan potentino nella sanità e l’economia di mezza regione.

Nel 2004, gli elementi raccolti dai carabinieri del Ros, coordinati dai pm Henry John Woodcock e Vincenzo Montemurro, avevano portato all’emissione di ordinanze di arresti per 52 persone, e alla richiesta di autorizzazione a procedere per l’allora deputato di Forza Italia, Gianfranco Blasi.

Nei mesi, e poi gli anni che seguirono, però, l’ex deputato venne prosciolto, grazie alla legge sul «giudicato cautelare». A seguire vennero prosciolti, da varie accuse, anche altri indagati illustri quali l’ex presidente della Camera penale di Basilicata, Piervito Bardi, l’ex deputato del Pd Antonio Luongo e il suo segretario Giovanni Petruzzi, l’ex consigliere regionale Agostino Pennacchia (Patto Segni-Liberldemocratici), e l’ex sindaco di Pignola, Ignazio Petrone.

Nelle motivazioni della sentenza di primo grado, il collegio del Tribunale presieduto da Rosario Baglioni aveva definito l’organizzazione criminale guidata tra il 2000 e il 2004 da Martorano e Stefanutti, tornati in libertà dopo aver finito di espiare le condanne rimediate nel processo Penelope, come un gruppo interessato «ad assicurasi il controllo di attività economiche ed imprenditoriali della provincia, anche mediante condizionamento dell’attività della pubblica amministrazione (…), oltre ad attività di tipo usuraio».

Rispetto all’accusa di associazione mafiosa, però, i giudici avevano evidenziato che «non può attribuirsi ad un’associazione il tipico carattere della mafiosità per effetto di un semplice incontro con un esponente della ‘ndrangheta, neppure se si fosse trattato del più pericoloso soggetto appartenente ad una delle note associazioni criminali calabresi».

A novembre di due anni fa Martorano e Stefanutti (quest’ultimo già in carcere per scontare una condanna definitiva a 18 anni di reclusione per l’omicidio dell’imprenditore potentino Donato Abruzzese, nel 2013) sono finiti al centro di una nuova maxi-inchiesta dell’antimafia lucana, ribattezzata “Lucania felix”, che ha preso di mira i loro affari, e portato all’esecuzione di 37 arresti tra Potenza, Vaglio, Palazzo San Gervasio, Baragiano, Forenza e Cutro, in provincia di Crotone.

Tra le accuse contestate si parla, ancora una volta, di associazione di stampo mafioso, narcotraffico, più una serie di tentate estorsioni aggravate dal metodo mafioso.

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