ACCUSA DI TURBATIVA D’ASTA
AGGRAVATA CON IL METODO MAFIOSO NEI CONFRONTI DI DIECI PERSONE. I LORO NOMI,
CON I PARTICOLARI DELL’INTERVENTO DEI CLAN MALAVITOSI, SONO NELLA SEGUENTE NOTIZIA
INTEGRALE
FONTE LAGAZZETTADELMEZZOGIORNO.IT
IL RETROSCENA. MAFIA E ARRESTI, LE MANI DEI CLAN SULLE ASTE GIUDIZIARIE: COSÌ I PARISI TRUCCARONO UNA VENDITA AD ALTAMURA
L’EPISODIO CONTESTATO RIGUARDA L’ACQUISTO DI UNO STABILIMENTO NELLA ZONA INDUSTRIALE DI MATERA, RICONDUCIBILE ALLA SOCIETÀ LEGNO SRL, E HA PORTATO ALLA CONTESTAZIONE DELL’ACCUSA DI TURBATIVA D’ASTA AGGRAVATA CON IL METODO MAFIOSO NEI CONFRONTI DI DIECI PERSONE
MASSIMILIANO SCAGLIARINI
26 FEBBRAIO 2024
BARI - Il clan Parisi ha messo le mani sul tessuto economico della città di Bari, inquinando le aste giudiziarie: è questo il fulcro dell’operazione effettuata stamattina dalla Dda di Bari con oltre mille uomini della polizia. L’episodio contestato riguarda l’acquisto di uno stabilimento nella zona industriale di Matera, riconducibile alla società Legno srl, e ha portato alla contestazione dell’accusa di turbativa d’asta aggravata con il metodo mafioso nei confronti di dieci persone. Per questa storia sono finiti in carcere Giuseppangelo Barracchia, Tommaso Lovreglio, Giovanni Sforza e ai domiciliari Alberto Bellizzi, Francesco Frezza, Roberto Paolicelli, Massimo Patella, Giuseppe Petronella, Giuseppe Sette e Giandomenico Tafuni.
Sulla procedura avrebbero messo gli occhi diverse consorterie mafiose, ma alla fine a prevalere sarebbero stati i Parisi. Gli uomini del clan Strisciuglio sarebbero intervenuti per far ritirare le offerte all’asta, svolta nel 2018, alle imprese «pulite». Ma alla fine la procedura sarebbe stata aggiudicata a un imprenditore prescelto dai Parisi di Japigia in cambio di 130mila euro, «30.000 dei quali in forma di sponsorizzazioni in favore della società calcistica A.S.D. Fortis Altamura, riconducibile al Baracchin Giuseppangelo e i restanti 100.000 consegnati in contanti».
Petronella, Patella e Sette sono ritenuti «mandanti ed effettivi aggiudicatari della vendita all’asta» che avrebbero ottenuto attraverso Lovreglio, Sforza e Baracchia «per conto del sodalizio denominato "clan Parisi"». L’imprenditore Paolicelli si era invece rivolto a Gaetano Strisciuglio e a Carlo Alberto Baresi, appartenenti a due distinti clan, e poi in un secondo momento a Lovreglio, Barracchia e Sforza (appartenenti al clan Parisi), ma non si sarebbe aggiudicato l’asta «in quanto non "selezionato" dai referenti del clan "Parisi" a causa della minore offerta economica in loro favore». L’avvocato Tafuni avrebbe invece agito da «anello di collegamento» tra l’imprenditore Paolicelli e il clan per fare in modo di allontanare dall’asta un altro partecipante, la Frezza Legnami: secondo l’accusa Alberto Bellizzi avrebbe concordato con Tommaso Lovreglio «il ritiro dalla procedura d'asta della "Frezza Legnami S.p.A.", rappresentata da Frezza Francesco - titolare della predetta azienda nonché suo genero - che, pur avendo presentato l'offerta, vi rinunciava nel corso della procedure di aggiudicazione, con la promessa del recupero dell'intero credito di Euro 320.000 già vantato nei confronti della fallita Legno srl».
Fatto sta che alla fine – secondo le indagini della Dda di Bari, sarebbero stati i Parisi a scegliere il vincitore «facendo leva sulla loro notoria appartenenza a tale consorteria mafiosa e sulla conseguente forza di intimidazione derivante dalla presenza ed operatività del clan sul territorio».
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