MA I RESIDENTI SI DIVIDONO. COME
FINIRA’? INTANTO, PER TRINO SI' FANNO IL TIFO ANCHE DALLA BASILICATA
TRINO. L'EX CENTRALE NUCLEARE E. FERMI |
IL SINDACO DANIELE PANE |
FONTE REPUBBICA.IT
IL REPORTAGE
NEL PAESE CHE VUOLE LE SCORIE NUCLEARI “PORTANO SOLDI E 700 POSTI DI LAVORO”
DAL NOSTRO INVIATO DIEGO LONGHIN
TRINO VERCELLESE, 6MILA ABITANTI, SI CANDIDA A OSPITARE IL DEPOSITO NAZIONALE. MA I RESIDENTI SI DIVIDONO
14 GENNAIO 2024
TRINO (VERCELLI) — Alzi la mano chi l’avrebbe mai detto. Nel Paese dei “no”, c’è un sindaco che decide di dire “sì”. Anche se si è già attirato le ire di gran parte dei suoi concittadini e dei colleghi sindaci della zona. Ed è stato scaricato dal governatore del Piemonte, Alberto Cirio, e dal presidente della Provincia di Vercelli, Davide Gilardino. Pure la Diocesi, alla vigilia del consiglio comunale aperto che alla fine ha detto sì, è uscita con una nota per criticare la sua scelta, così come gli agricoltori.
Eppure Daniele Pane, il primo cittadino di Trino, non molla e ripete: «Il deposito di scorie nucleari? Lo prendo io. Tanto, i rifiuti li ho già in casa». Nel 2003 presero parte in 100 mila alla marcia del “no” contro il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi a Scanzano Jonico. Vent’anni dopo Pane (FdI), complice il governo Meloni che glie lo ha consentito, ha candidato il suo Comune a ospitarlo. Candidatura anomala, visto che il paese, 6 mila anime, non è nell’elenco dei 51 siti idonei.
Per Pane, nato nel 1986, l’anno prima del referendum che nel novembre 1987 sancì il “no” al nucleare in Italia, è più facile che per altri non farsi prendere dalla sindrome Nimby (Not in my backyard, “non nel mio cortile”, ndr): «Sarei solo un ipocrita — dice — . Io i rifiuti in cortile ce li ho già: sono dentro alla ex centrale nucleare chiusa nel ‘90. Ho già il problema, per questo devo trovare una soluzione».
Secondo il primo cittadino rieletto pochi mesi fa con il 73% dei consensi, il deposito è una valida exit strategy da una situazione di stallo. Per un motivo: fatto 100 il livello di radioattività delle scorie italiane, il 70% è tra Trino (nella centrale Enrico Fermi sulle sponde del Po) e il vicino deposito nel Comune di Saluggia. Ma chi si oppone alla visione di Pane, come il Comitato Tri-NO, non la vede così: non calcola la radiottività, ma la loro quantità. «Abbiamo qui meno del 5% delle scorie, perché dovremmo prenderci il resto?», dice Fausto Cognasso, che già nel 1987 si batteva per il “no” al nucleare. Intende che “abbiamo già dato”, come dice Cirio? «Non è solo questo — risponde — per noi il territorio non è idoneo a ospitare il deposito. Non per la nostra storia, il nostro passato e la presenza che abbiamo, ma per la conformazione idrogeologica e la falda che affiora. E a dirlo non siamo noi, ma i geologi». Al Comitato hanno aderito 600 persone, non solo di Trino, e l’obiettivo, oltre alla battaglia legale, è arrivare a un referendum tra i trinesi per bloccare il progetto.
Il cimitero nazionale delle scorie, che sarà costruito su un’area di 150 ettari, servirà a “tombare” in sicurezza per tre secoli anni 95 mila metri cubi di scorie, di cui 78.000 a bassissima e bassa attività e 17.000 a media ed alta attività. Il 60% proviene dall’esercizio e dallo smantellamento delle centrali nucleari italiane. Il resto dall’attività ospedaliera, di ricerca e medica. L’Italia prova a costruire questo spazio da decenni, senza successo, e l’Europa ha aperto una procedura d’infrazione. «Spendiamo soldi per le multe e per depositare le scorie altrove, tra Francia, Belgio e Inghilterra», dice Pane. Solo quest’ultima voce vale più di 150 milioni all’anno. E i fondi suddivisi tra i Comuni “ex nucleari” che ospitano depositi temporanei valgono altri 15 milioni all’anno.
Ora parte di questo denaro potrebbe arrivare a Trino, paese cerniera tra le risaie del vercellese e le colline del Monferrato che provano a imboccare la strada enogastroturistica delle Langhe. Senza contare i 4 mila posti di lavoro per costruire il deposito che occuperebbe, a regime, 700 addetti. E nel pacchetto è previsto pure un parco tecnologico. «Sono opportunità — dice Pane — ma se dopo la nostra richiesta ci diranno che l’area del Comune non è adatta, andrò con quel foglio in tutti i ministeri e dirò che non solo a Trino non possono tornare le scorie che sono all’estero, ma quelle che ci sono devono sparire subito».
Il paese ha vissuto sulla centrale e sui piani di incentivi fiscali per aprire imprese che, appena finiti i soldi, chiudevano, lasciandosi dietro dei buchi neri. Ora è in cerca di una nuova vocazione. Ma i trinesi da che parte stanno? «Io credo che la maggioranza silenziosa stia con me», sottolinea Pane, mostrando i messaggini di chi gli scrive “Sei un eroe”. «Non è così — ribatte Cognasso — anche molti di quelli che l’hanno sostenuto ora sono con noi». Francesco Corigliano è arrivato a Trino nel ‘77, al Bar Family legge le ultime sulla vicenda del deposito: «Non ne vedo la necessità e non capisco. Perché questa fuga in avanti? Prima si faccia un referendum». Al tavolo accanto, una signora interviene. Non vuole dire il suo nome, «tanto lo andrò a dire a Daniele (Pane, ndr) direttamente: Trino il deposito non lo vuole. Ho perso mio marito che aveva 43 anni per un tumore, io ho problemi alla tiroide. E come me sono tanti qui a Trino. Sarà un caso? Va bene. Ma quando ci sono state le alluvioni era un disastro. Si figuri con il deposito cosa accadrebbe». E poi riflette: «Qui dietro c’è Casale Monferrato, pensi a come reagirebbero se qualcuno — per assurdo — proponesse un deposito di Eternit». Paolo Gasco è il titolare dell’unica edicola in corso Italia: «Di scorie non me ne intendo, ma quando la centrale funzionava c’erano 12 mila persone, tre cinema e si stava bene. Me lo ricordo». Il tabaccaio, Luciano Bertin, sintetizza così: «La maggioranza è contro, ma prima di decidere bisogna chiedersi se il deposito porta sviluppo o se è solo una discarica».
Le malelingue dicono che il cimitero servirà a Pane come trampolino di lancio per andare a Roma. «Se toglie le castagne dal fuoco a Meloni, la ricompensa arriverà», è la congettura. Non sono passati inosservati gli elogi del ministro dell’Ambiente, il biellese Gilberto Pichetto Fratin. D’altronde, un vecchio adagio locale dice che «la centrale ha prodotto più politici che kilowattora».
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