UN “COLD CASE”, UN DELITTO IRRISOLTO, AVVINCENTE. IL CORPO DI SANDRA,
32 ANNI, VENNE TROVATO IL 3 AGOSTO DEL 1980 IN UN CAMPO DI METAPONTO, LA TESTA
IN UNA BUSTA DI PLASTICA, AD ACQUAVIVA DELLE FONTI (BA), TRE MESI DOPO. CHISSÀ
CHE QUALCUNO NON VOGLIA RIAPRIRE IL VECCHIO FASCICOLO! DI SEGUITO L'ARTICOLO DI ANDREA GALLI DA CORRIERE.IT
SANDRA IN DUE FOTO DELL'EPOCA. NELLA GRANDE E' CON IL SUO AMATO CANE, MAI RITROVATO DOPO IL DELITTO |
FONTE CORRIERE.IT
DI ANDREA GALLI
AGOSTO 1980: IL VIAGGIO IN AUTOSTOP A MATERA E LE OMBRE DEL PASSATO. LA TESTA ERA IN UNA BORSA SPORTIVA
Dapprima
stordita, quindi decapitata. Il corpo di Sandra Chimel, minuta e bionda, estetista a domicilio residente in via Ennio 25
a breve distanza da piazza Insubria, giaceva in un campo tra i pomodori e
gli ulivi di Metaponto, in provincia di Matera. Ossia il luogo scelto dalla
32enne per le vacanze, al solito in modalità on the road senza nulla prenotare
prima della partenza.
Il 1980. Agosto il mese, domenica 3 il giorno della scoperta del cadavere
per merito d’un ragazzino che girava sulla motoretta per tirar sera. Abitava in
una masseria. Alla madre riferì d’essersi avvicinato credendo che il corpo
fosse un manichino abbandonato.
Si disse e scrisse: ad assassinare Sandra è stato forse un killer che voleva portarsi via un trofeo, cioè la testa, e potrebbe anche essere un serial killer di cui però i mesi e gli anni scorsi, in Lucania come ovunque in Italia, manca una storia pregressa. Sicché seguendo quella pista, invero poco battuta dagli inquirenti, Sandra sarebbe stata la prima vittima del maniaco. Oppure, e qui i medesimi inquirenti erano sorretti da una maggior convinzione, si disse e scrisse di una storia di droga, e inoltre si disse e scrisse di una vendetta di mala, o di un delitto d’impeto con la convinzione dell’omicida che sarebbe bastato far sparire il capo di Sandra per renderne impossibile l’identificazione.
NEL MONOLOCALE
Ma lei,
nella sua vita — la vera vita? — ignota alle clienti che l’adoravano per la
disponibilità e la dolcezza, aveva un passato da tossicodipendente. Eroina
in vena. Aveva smesso da un pezzo, Sandra, o almeno così giurava agli
amici. Perfino non comprava più le sigarette: forse però la rinuncia al fumo era
la conseguenza dell’incapacità di star dietro ai conti di casa, ai progressivi
debiti: i ritardi nei pagamenti dell’affitto le erano costati la perdita del
monolocale. Sfrattata senza avviso né saluti. E lei, perduto quel piccolo
immobile che nel tempo aveva subaffittato a chi capitava, donne e uomini,
italiani e stranieri, quando stava terminando il mese di luglio aveva deciso di
mettersi in viaggio secondo, per appunto, sua abitudine. Andare dove voleva,
muoversi come le piaceva. Incluso l’autostop.
Ma la droga, dicevamo prima: a Milano Sandra era stata, o era ancora, dentro il
giro degli stupefacenti. Il suo nome era schedato, l’interrogazione in banca
dati rivelò subito l’esatta identità.
GLI INTERROGATIVI
Perché fu
ammazzata — e ammazzata così — Sandra Chimel? E quale
il pregresso della scena del crimine, cioè che cosa fece, chi incontrò, dove
sostò? E ancora, quale il movente? All’epoca, narrarono gli inviati dei
giornali, «il giallo è sempre più fitto».
Tre colpi sulla gola e tre colpi sulla nuca per staccare la testa: fine.
Il medico legale non isolò ulteriori elementi come eventuali segni di una
colluttazione, una resistenza, una disperata difesa. Motivo per cui si
ipotizzò lo stordimento, la perdita dei sensi prima dell’esecuzione del delitto.
Sconosciuta l’arma, con larga probabilità lunga però otto centimetri, forse
un’accetta manovrata da una mano «incredibilmente esperta» sentenziò sempre il
medico legale, la mano di un soggetto che aveva una grande e una lunga pratica
di movimenti netti, decisi, minuziosi, e infatti «non ha intaccato una vertebra
e non ha intaccato neppure un osso».
Era un macellaio che magari possedeva un negozio in zona e che aveva avuto
Sandra per cliente maturando un’ossessione? Era un chirurgo lui pure
ossessionato? Scenari forse fin troppo scontati, anche se spesso le soluzioni
più immediate sono quelle reali. Fosse chi fosse il killer, portava delle
scarpe da tennis; lasciò impronte intorno al cadavere: scarpe generiche che i
carabinieri non attribuirono a nessuno di particolare. V’erano pure impronte
digitali sul corpo della donna: le interrogazioni ai terminali rimandavano
ad alias e nomi falsi di uomini specie correlati con le truffe. Un ambito
delinquenziale attraversato dalla stessa vittima, anni addietro. Pertanto,
ragionarono gli inquirenti, era il passato di Sandra a risalire in superficie,
magari un complice a reclamare conti rimasti in sospeso, del denaro che andava
restituito, un nuovo colpo da realizzare al quale l’estetista si rifiutava
d’aderire minacciando anzi di avvisare le forze dell’0rdine poiché non voleva
essere tirata in ballo… Via a lavorare, invano, in quella direzione. Indagini
senza conclusioni da parte dei carabinieri, fascicolo approdato
nell’archiviazione da parte del magistrato.
PIZZO E SCIROCCO
Le campagne dell’omicidio erano aperte, poco frequentate: retorico lo sforzo d’individuare testimoni che potevano aver visto la vittima insieme al suo boia nei minuti antecedenti la decapitazione. Di nuovo il medico legale non evidenziò rapporti né violenze sessuali. Dopodiché quel vestito, un costoso abito, s’ignora pagato come e con quali soldi, di pizzo azzurro abbinato a raffinate scarpe col tacco, si contrappose all’ambientazione di quelle terre arse dal sole e dallo scirocco, non prossime ai centri abitati e alle zone dei turisti. Ma allora, possibile che l’estetista avesse un appuntamento con una persona, più un uomo che un’altra donna ripeterono convinti i carabinieri riflettendo sulle abilità, la forza e la precisione utilizzate? Oppure possibile che Sandra fosse stata lì trasportata affinché s’incontrasse con una seconda persona? Ma chi era? «Seguiamo tutte le ipotesi» continuava a scandire il capo della procura di Matera.
LA VOCE ANONIMA
Poi a un
certo punto arrivò Ferragosto, gli inviati vennero richiamati indietro,
nessuno della cerchia di Sandra inscenò circhi mediatici per pretendere
giustizia, e i carabinieri, in perenne carenza d’organico per la reiterata
rabbia del medesimo capo della procura, ripresero a occuparsi di derubati,
vittime di incidenti, vittime di borseggi, vittime di furti negli alberghi…
Non mutò lo scenario il rinvenimento della testa, tre settimane più tardi:
un cercatore di lumache la notò emergere da una borsa sportiva, a 60
chilometri di distanza, in un campo laterale all’autostrada, in coincidenza del
casello di Acquaviva delle Fonti. Al polso Sandra aveva un orologio. Non di
scarso valore. Ma non essendo stata una rapina bensì un’esecuzione,
all’assassino non interessò affatto. O forse aveva fretta nel timore d’essere scoperto.
Un mattino una voce maschile, anonima, telefonò alla mamma di Sandra, che
ignorava il delitto, consigliandole di leggere i giornali. La donna ammise
con gli inquirenti di non vedere la figlia da tre anni, da quando lei aveva
deciso di andarsene di casa. In Basilicata, Sandra era con il suo adorato cane.
Non lo aveva lasciato da conoscenti a Milano. Dopo il delitto l’animale sparì,
forse rubato.
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