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MARIA ANNA VENA E ANNA ROSA DIAMANTE |
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COSIMO VENA |
LA GAZZETTA
DEL MEZZOGIORNO 10.2.18
SCANZANO JONICO – “Vidi morire mio figlio, il 15
settembre 2015, tra le mie braccia. Finchè i miei occhi rimarranno
aperti mi batterò perchè i responsabili della sua morte vengano
individuati e condannati”. Lo ha detto Rosa Anna Diamante, la madre
di Cosimo Vena, deceduto a 37 anni per overdose, dopo aver presentato
ai carabinieri della Compagnia di Policoro un esposto-denuncia con la
richiesta di riapertura delle indagini. Vena morì mentre si trovava
agli arresti domiciliari perchè coinvolto nell'indagine “Neve
tarantina”. Un decesso di cui non sono stati individuati eventuali
responsabili. Nelle settimane scorse il giudice delle indagini
preliminari del tribunale di Matera, Angelo Onorati, ha archiviato il
procedimento a carico di tre persone indagate per omicidio colposo
(due operatori del 118 ed il medico di famiglia, ndr) e di un'altra
accusata di aver provocato la morte dell'uomo fornendogli la dose di
cocaina letale. Archiviazione richiesta dalla Procura della
Repubblica contro cui avevano fatto opposizione i familiari. Ma
invano. Da qui la denuncia di Anna Rosa assistita nella sua battaglia
dalla sorella di Cosimo, Maria Anna. “Vogliamo che si indaghi
ancora – ha detto quest'ultima – su due aspetti. Sulle
responsabilità di chi aveva il dovere di assistere mio fratello
quando chiamai il 118 la prima volta e su chi portò la droga mortale
ad un uomo ai domiciliari che non poteva incontrare nessuno. Si
esaminano, allora, le registrazioni delle mie chiamate al 118 e
quelle della persona accusata di aver provocato il decesso fornendo a
Cosimo la dose letale”. Due richieste evidenziate nell'esposto
negli otto punti posti all'attenzione degli investigatori e
finalizzati ad approfondire le cause di una morte che, per la
famiglia, ha tanti punti oscuri non chiariti delle indagini
precedenti. Anna Rosa: “Hanno chiuso un procedimento su ipotesi non
su certezze. Noi vogliamo certezze. Le voglio io, la madre che tenne
tra le sue braccia il figlio dopo che era venuto la prima volta il
118. Invece che ricoverarlo, perchè stava già male, mi dissero che
doveva dormire. Lo cullai, con la testa sul mio petto. Aveva il
respiro affannoso. Poi, si rilasciò e vomitò un liquido nero.
Pensavo si fosse liberato ma Cosimo in quel momento morì. Quando il
118 arrivò la seconda volta non ci fu più nulla da fare. Non mi
rassegnerò mai. Voglio giustizia”.
METAPONTINO IN
NERO. FAMILIARI COSTRETTI A TRASFORMARSI IN DETECTIVE. TANTE LE
VICENDE IRRISOLTE
SCANZANO JONICO – Il caso della morte di Cosimo
Vena, avvenuto il 15 settembre del 2015 nell'ospedale di Policoro
dove era stato trasportato attorno alle 23, è l'ultimo della serie
in cui i familiari sono costretti a trasformarsi in detective per
avere giustizia. Nel Metapontino “in nero” possiamo citare quello
dei “fidanzatini di Policoro”, assurto alla cronaca
internazionale; dell'omicidio dell'autotrasportatore di Scanzano
Jonico, Vincenzo De Mare; del giovane policorese Mario Milione,
bruciato in un auto nelle campagne di Ginosa (TA); del carabiniere
Giuseppe Passarelli, avvenuta a Cassano allo Jonio (CS); e
dell'agricoltore di Montalbano Jonico, Nicola Macculi. Delitti senza
colpevoli e con i familiari in attesa di giustizia.
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