LA VICENDA STORICA DI POLICORO E DI ANTONIO MELE, MIO PADRE, PUBBLICATA SULLA PAGINA FACEBOOK UFFICIALE DEL COMUNE JONICO NELLA RUBRICA “RACCONTA POLICORO”. GRAZIE! LEGGI L’ARTICOLO INTEGRALE
ANTONIO MELE |
IZZI ANGELINA |
FONTE CITTA' DI POLICORO FACEBOOK
Nel libro l’epopea dei braccianti-contadini del Sud, Rotondella (Basilicata), dalle sofferenze di fame e di morte nel periodo del fascismo sino al riscatto della Riforma agraria del dopoguerra e alla nascita di nuove città come Policoro.
Il protagonista, Antonio Mele, nacque nel 1924 a Rotondella. Il padre, Filippo, morì a 32 anni, nel 1932. Dopo la prima guerra mondiale tornò con una malattia polmonare. La madre Carmela dovette crescere da sola i tre figli rimasti vivi dei 12 che aveva partorito. Nove figli morti. Sopravvissero solo gli ultimi tre. Genitori analfabeti. Antonio 4a elementare, sposò Angelina Izzi, di due anni più giovane, analfabeta. A 6 – 7 anni i bambini, maschi o femmine, venivano affidati a massari – proprietari terrieri, come schiavi. Bocche in meno da sfamare. Mele descrive la vita a Rotondella: la povertà, gli usi, i costumi, i mastri artigiani, l’economia agricola padronale, la prima auto, il primo gelato, la festa patronale, il fascismo al potere con i suoi rituali scolastici, i podestà, la violenza sui confinati, sino alla seconda guerra mondiale. Ma Mele è bracciante. In bicicletta va al feudo del Barone Berlingieri, a Policoro, distante 30 km, a lavorare per una ditta che gestisce il vastissimo latifondo. Descrive la natura selvaggia del Bosco Pantano, con il Barone, e i sui cento cani, alle battute dei cinghiali; la vita del feudo, legata alle stagioni e alle grandi raccolte con le donne che arrivavano dai paesi interni della Basilicata e le danze serali e gli amori notturni nei grandi casolari; la vita nel castello col padrone e le sue bellissime due signorine - cameriere; le credenze popolari, con maghi e fattucchiere e i suoi viaggi per salvare vite dei colpiti dal malocchio; la malaria e il chinino; la figura del dottore condotto contadino che conosceva tutti i dialetti popolari; la credenza sul bracciante a cui la fata del bosco che aveva tentato di violentare presagì sette figlie femmine e nessuna sposata; le gare in bicicletta da Rotondella a Policoro o viceversa che lui vinse in due occasioni.
Poi la speranza. Le lotte per la Riforma agraria, con masse di braccianti che si radunavano, nottetempo, con le donne con i bambini in braccio, a Policoro, Scanzano Jonico, Pisticci, per occupare le terre dei baroni. Con le figure di Rocco Scotellaro e Carlo Levi e dei deputati e senatori, come Nicola Cataldo, che si schierarono con loro, sempre con loro. Una lotta vinta. La nascita dell’Ente riforma di Puglia, Basilicata e Molise. La bonifica, le prime dighe sui cinque fiumi lucani che sfociano nello Jonio. L’assegnazione dei pezzi di terra in cui era stato diviso il latifondo agli ex braccianti. Mele si trasferì con la moglie e i primi due figli a Policoro. Visse in casette del barone, basse, a schiera, attorno al castello. Egli chiese di cambiare il primo terreno che aveva avuto, acquitrinoso, per uno boscoso. Che dissodò. Ma ecco anche la politica. Le prime lotte Dc – Pci - Psi. Le discriminazioni dell’Ente nei confronti dei contadini assegnatari comunisti o socialisti. La paura, i ricatti. La nascita di nuove città, come Nova Siri Marina, Policoro, Scanzano Jonico, dal nulla. Nelle campagne vennero costruite migliaia di case coloniche, con stalle e silos, in cui trasferire gli assegnatari. In molti ex braccianti non ressero alla rivoluzione e mollarono per trasferirsi al Nord. In molti restarono. Lo sviluppo. Mele studiò le sementi e gli alberi da piantare. Li consigliò agli altri ex braccianti ora divenuti contadini, analfabeti. Tutti si aiutavano l’un gli altri come nella grande festa della trebbiatura. L’Ente fornì scorte morte (aratri, carretti, strumenti per lavorare la terra) e vive (mucche ed altri animali) e assistenza tecnica. Gli agricoltori entrano in cooperative agricole, poi quasi tutte fallimentari, che costruirono oleifici, caseifici, centri di raccolta dei prodotti.
LA LANGA BARONALE MALARICA DEL FASCISMO DIVENTOì IN POCHI ANNI IL FRUTTETO D’EUROPA, LA CALIFORNIA DEL SUD ITALIA. UNA EPOPEA SI COMPI’ IN 50 ANNI.
Tra le strade delle campagne di Policoro arrivò la modernità, radio, frigo, televisioni. Tutto comprato a rate. Ma ecco i primi guadagni. Dai cavalli, muli e giumente, si passò ai motocoltivatori, alle frese, ai trattori. La prima cassa rurale e le lotte per la sua gestione. Policoro, in particolare, da frazione di Montalbano Jonico, diventò prima Comune, il primo in zona di Riforma agraria, e poi città. Mele descrive le prime battaglie politiche per la gestione dell’amministrazione e le figure dei primi sindaci, tra cui quella del suo amico Nicola Montesano, da ciabattino povero e affamato a Rotondella a primo cittadino amato e riverito a Policoro. I contadini investono in nuove case in città. La Ferrero costruì uno zuccherificio. La prima scuola superiore; il Liceo scientifico; l’ospedale; il Museo della Siritide, con il primo sovraintendente ai beni culturali della Basilicata, il rumeno Dinu Adamesteanu, che ha voluto essere sepolto a Policoro, che raccoglieva i cocci della Magna Grecia tra gli aratri. La scoperta del mare, sino allora sconosciuto ai lucani, e del turismo. Mele, 4 elementare, e sua moglie Izzi, analfabeta, fanno studiare i loro tre figli maschi mentre la loro primogenita apre una libreria. Per loro la cultura al primo posto.
Il libro di Antonio Mele, con prefazione della professoressa della Sapienza di Roma, Argo editore, è stato adottato in molte facoltà di etnologia di università d’Italia e i suoi quaderni manoscritti sono stati depositati nell’Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano dove sono oggetto di studio per articoli e tesi universitarie.
FILIPPO MELE
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