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martedì 5 gennaio 2021

CIMITERO ATOMICO. ECCO LA CARTA DEI SITI IDONEI


PARTICOLARE DELLA CNAPI

CI SONO ANCHE MONTALBANO, BERNALDA, MONTESCAGLIOSO, MATERA, IRSINA. 17 LE AREE DI BASILICATA E PUGLIA INSERITE NELLA CNAPI (CARTA NAZIONALE DEI SITI POTENZIALMENTE IDONEI)

IL CORRIERE DELLA SERA

NUCLEARE, ECCO LE 67 AREE IDONEE PER IL DEPOSITO DEI RIFIUTI RADIOATTIVI ITALIANI

DI STEFANO AGNOLI

05 GEN 2021

Dopo sei anni di attesa esce nel cuore della notte tra il 4 e il 5 gennaio la mappa delle aree che potranno ospitare il Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi italiani, la cosiddetta «Cnapi», Carta delle aree potenzialmente idonee. È il documento dove sono state individuate 67 aree che soddisfano i 25 criteri stabiliti nel 2014-2015. Si tratta di Comuni raccolti in cinque macrozone, che potremmo definire così: Piemonte con 8 aree tra le province di Torino e Alessandria (Comuni di Caluso, Mazzè, Rondissone, Carmagnola, Alessandria, Quargento, Bosco Marengo e così via); Toscana-Lazio con 24 aree tra Siena, Grosseto e Viterbo (che comprendono i Comuni di Pienza, Campagnatico, Ischia e Montalto di Castro, Canino, Tuscania, Tarquinia, Vignanello, Gallese, Corchiano); Basilicata-Puglia con 17 aree tra Potenza, Matera, Bari, Taranto (Comuni di Genzano, Irsina, Acerenza, Oppido Lucano, Gravina, Altamura, Matera, Laterza, Bernalda, Montalbano, Montescaglioso); poi le Isole, con la Sardegna (14 aree) in provincia di Oristano (Siapiccia, Albagiara, Assolo, Usellus, Mogorella, Villa Sant’Antonio) e nel Sud Sardegna (Nuragus, Nurri, Genuri, Setzu, Turri, Pauli Arbarei, Ortacesus, Guasila, Segariu, Villamar, Gergei e altri); e la Sicilia, 4 aree nelle province di Trapani, Palermo, Caltanissetta (Comuni di Trapani, Calatafimi, Segesta, Castellana, Petralia, Butera). La mappa nei dettagli si può consultare sul sito depositonazionale.it .


Spesa prevista 900 milioni

Qualche giorno fa i ministeri dello Sviluppo economico e quello dell’Ambiente avevano finalmente dato il «nulla osta» alla pubblicazione della mappa, tenuta rigorosamente chiusa nei cassetti della Sogin, la società che si occupa dello smantellamento delle vecchie centrali, per tutto questo tempo. La Sogin ha tenuto un consiglio straordinario lo scorso 31 dicembre. Dalla pubblicazione del 5 gennaio inizia il processo che nel giro di qualche anno porterà alla localizzazione del sito che in un primo momento dovrà contenere 78 mila metri cubi di rifiuti a bassa e media intensità e poi anche 17 mila metri cubi ad alta attività, questi ultimi per un massimo di 50 anni (per poi essere sistemati in un deposito geologico di profondità di cui al momento poco si sa). Spesa prevista? Per il Deposito e il Parco tecnologico è prevista una spesa di 900 milioni di euro, che saranno prelevati dalle componenti della bolletta elettrica pagata dai consumatori.


I criteri

Nel suo documento del 2014 l’Ispra aveva identificato almeno 28 tra criteri ed aree di esclusione. Criteri geologici a cui se ne aggiungono altri amministrativi. E altri ancora di convenienza e buon senso: anche se le isole, Sicilia e soprattutto Sardegna, sono comprese, per loro si unirebbe alle altre complessità anche il problema del trasporto. Le prime aree da scartare sono state comunque quelle vulcaniche, e poi quelle sismiche o interessate a fenomeni di faglia; quelle soggette a frane e inondazioni, o in fasce fluviali o in depositi alluvionali preistorici; le aree al di sopra di 700 metri di altitudine o con pendenze superiori al 10%. E ancora: quelle sino alla distanza di 5 chilometri dalla costa, in zone carsiche o vicine a sorgenti o a Parchi nazionali o luoghi di interesse naturalistico; bisogna poi mantenere un’«adeguata distanza» dai centri abitati; almeno un chilometro da autostrade, strade statali o linee ferroviarie; bisogna tenersi lontani da attività industriali, dighe, aereoporti, poligoni militari, zone di sfruttamento minerario.

 

78mila metri cubi di scorie radioattive

La superficie necessaria al Deposito sarà tutto sommato modesta, e pari a 150 ettari, di cui 110 per il Deposito e 40 per il Parco tecnologico. Una volta riempito, il Deposito avrà tre barriere protettive, e sarà poi ricoperto da una collina artificiale, una quarta barriera, e da un manto erboso. Le barriere ingegneristiche dovranno garantire l’isolamento dei rifiuti radioattivi per più di 300 anni, ovvero fino al loro decadimento a livelli tali da non essere più nocivi per la salute dell’uomo e dell’ambiente. Si tratterà di 78mila metri cubi di rifiuti radioattivi a bassa e media attività: 50mila dallo smantellamento degli impianti nucleari italiani (ancora quasi tutto da fare, si parla del 2036) e 28mila dalla ricerca, medicina nucleare e industria. Circa 33mila sono già stati prodotti, gli altri 50mila sono previsti per il futuro. Bisognerà poi trovare posto, (compresi nei 17mila metri cubi ad alta attività) a circa 400 metri cubi assai pericolosi, costituiti da combustibile non riprocessabile o da combustibili mandati in Francia e Gran Bretagna (a pagamento) per essere riprocessati, e che decadono in migliaia di anni. Resteranno nel Deposito per essere avviati a uno stoccaggio di profondità, anche se per ora non si sa dove, come e quando. Di certo c’è che, ad esempio, ad oggi a Trisaia in Basilicata alcuni contenitori che hanno 50 anni contengono una soluzione liquida di uranio arricchito, mentre a Saluggia, vicino a Vercelli e in riva alla Dora Baltea, giacciono 230 metri cubi di rifiuti liquidi ad alta attività sempre dentro a contenitori di 50 anni fa. Dopo l’alluvione del 2000 l’allora commissario Enea e premio Nobel Carlo Rubbia dichiarò che si era «sfiorata una catastrofe planetaria».

 

L’iter e la consultazione pubblica. Poi la costruzione.

Che cosa accadrà ora? Nei sessanta giorni successivi alla pubblicazione del 5 gennaio parte la «consultazione pubblica». Le Regioni, gli enti locali e i soggetti interessati potranno formulare le loro osservazioni e proposte tecniche alla Sogin. È la prima consultazione pubblica che si svolge in Italia. In generale l’iter non si preannuncia facile, visto che bisognerà raccogliere il consenso delle comunità interessate e delle istituzioni locali. La consultazione pubblica durerà in tutto quattro mesi, compreso anche il «seminario nazionale» che Sogin dovrà organizzare, e una successiva rielaborazione di tre mesi che darà luogo alla «Carta nazionale delle aree idonee». Poi si passerà alla fase delle «manifestazioni di interesse» dei territori. Il tutto in un periodo di pandemia, con le immaginabili difficoltà che si aggiungeranno ad una procedura di per sé complessa. Una volta individuato il sito serviranno quattro anni per la costruzione.


Il peso su governo e politica, il ruolo di Sogin

Ma dopo i rinvii «politici» per le Regionali del 2015, il referendum costituzionale del 2016, le elezioni del 2018, il cambio di governo con il Conte2, e dopo la procedura di infrazione aperta dalla Commissione europea a fine ottobre scorso, non si poteva più aspettare. Qualche settimana fa molti comitati e associazioni ambientaliste piemontesi (in particolare del vercellese e della Valsesia) avevano scritto ai ministri Stefano Patuanelli e Sergio Costa proprio per sollecitare la pubblicazione della Carta. Ora, con il nulla osta, è verosimile che la questione della localizzazione, e del potenziale “nimby” che comporta (“not in my backyard”, non nel mio giardino) possa creare un motivo ulteriore di dibattito in un momento delicato per il governo Conte. Infine resta l’interrogativo sulle capacità dell’attuale Sogin di condurre in porto la realizzazione. Nata nel 2001, costa agli italiani circa 300 milioni l’anno. Di rinvio in rinvio ha programmato la fine del decommissioning nucleare italiano al 2036, 49 anni dopo il referendum del 1987. Qualche dubbio è lecito.

1 commento:

  1. 5/1/21

    Riprendendo il mio post del 13/12/2020 ...." Ora, a 75 anni compiuti e prossimo ormai a terminare il mio...viaggio (terreno), resto in attesa che per la popolazione lucana, che si è prestata a questa "sperimentazione non apertamente dichiarata", ma imposta subdolamente con i continui ritardi ed incertezza sul da farsi, si possa farla finita con il seppellimento di quanto c'è di altamente radioattivo nella Trisaia nel suo sottosuolo, nel salgemma di Scanzano, a circa seicento metri di profondità, trattandosi di un materiale che rimarrà "attivo" per migliaia di anni e, allorquando si troverà un sito e/o una metodologia adeguata per un trattamento di bonifica, fra trecento o quattrocento anni dopo, potrà sempre essere bonificato.
    Importante è che si interrompa ora e non domani, questa sperimentazione sulla pelle dei Lucani della fascia ionica ( ormai in estinzione)!
    Oggi, 5/Gennaio/21, questa pubblicazione della carta dei Siti idonei nazionali rimette in gioco tutta la manfrina da fare sul "non nel mio giardino", bruciando quarant'anni di attesa nella sperimentazione "sperimentale" sulla ignara popolazione della fascia ionica.
    Vogliamo che si proceda, con immediatezza, alla BONIFICA del sito della TRISAIA con piscine previste e utilizzabili fino al 1980, ma ora siamo ben oltre un tale limite e quindi è assolutamente necessario far cessare questo gioco al rimandare al futuro questo allontanamento.
    E' forse opportuno e meglio seppellire "provvisoriamente" i rifiuti altamente radioattivi di Trisaia nel "famoso" salgemma di Scanzano piuttosto che tenerli ancora "provvisoriamente" nelle ormai obsolete piscine della Trisaia e, questo, prima che tutta la nostra generazione faccia il suo tempo; quando, fra trecento o quattrocento anni, sarà stato allestito il deposito nazionale o internazionale o planetario o lunare o solare o extragalattico che dir si voglia, allora e solo allora chi si troverà, potrà provvedere al trasferimento di tale ingombrante rifiuto.
    Per ora noi, lucani, e metapontini in particolare, ne abbiamo fatto il pieno!
    PS: Lucani, non siate impulsivi, ma ragionate sui tempi a venire?
    A quando?????????????, ma sarete già morti da tempo, è ora di finirla!

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