FONTE ILQUOTIDIANODELSUD.IT - DOMENICA 19 GENNAIO 2025
L’ANTIMAFIA: «PARLANO IN CODICE. L’ARGOMENTO NON È IL PESCE AZZURRO, BENSÌ IL DENARO»
PIZZO SULLA SS106, «ALICI» PER IL CLAN
POTENZA - Non si sono fatti ingannare dal linguaggio in codice gli investigatori
della squadra mobile di Crotone che venerdì hanno messo le manette ai polsi dell’imprenditore
tursitano Giuseppe D’Alessandro.
E’ quanto emerge dagli atti dell’inchiesta sul pizzo che il clan de- gli
zingari di Corigliano avrebbe incassato dai lavori del terzo “Megalotto” della
statale 106 Jonica.
A condurre gli investigatori da D’Alessandro è stato un altro degli indagati
finiti in carcere, Antonio Salvo, capo cantiere della ditta emiliana, Tre Colli
spa, a cui era stata appaltata la realizzazione di 5 milioni di euro di lavori
sul metanodotto Pisticci - Sant'Eufemia. Lo stesso Salvo che gli investigatori hanno
soprannominato “Giano bifronte” perché sarebbe stato anche la «longa manus» sui
cantieri del clan.
«Ascolta a me... che ora sono stato da quell'amico mio, no? (...) Ora ... gli è
piaciuta ... gli sono piaciute quelle alici di oggi... (...) Ora mi ha chiesto
... ma non è, per giovedì, che lui va via, riesci a procurarmele».
Queste le parole pronunciate a febbraio del 2023 da Salvo in una conversazione
telefonica con D’Alessandro, considerato l’amministratore di fatto della Smeda
srl di
Tursi. Parole in codice, secondo gli investigatori, per nascondere la richiesta
a D’Alessandro di “girare” al clan quanto dovuto.
Stando a quanto emerso dall’inchiesta dell’Antimafia di Catanzaro, infatti, ad
animare il meccanismo delle estorsioni sarebbero state proprio la Smeda e altre
due ditte dell’alto cosentino. Inclusa la Cmi calcestruzzi guidata dal lucano
Domenico Basile. Ditte dalle quali l’imprenditore preso di mira, nel caso di
specie un subappaltatore della Tre Colli, sarebbe stato obbligato a rifornirsi
di cemento e quant’altro pagando un sovrapprezzo nascosto. Soldi che D’Alessandro
e gli altri avrebbero dovuto restituire al cosca egemone in quell’area, guidata
da Leonardo “Nino” Abbruzzese.
«D'Alessandro non gestisce una attività di vendita prodotti ittici, non vende
"alici" per scopo amatoriale né dalle conversazioni telefoniche e
ambientale intercettate, precedenti alla conversazione che segue, ha mai
palesato di essere un pescatore o un appassionato di cucina con menù a base di
pesce ovvero ghiotto di alici». Così nella richiesta di misure cautelari della
Dda di Catanzaro, a cui il gip fa integrale richiamo nella sua ordinanza di
arresti.
«Peraltro D'Alessandro - proseguono i pm dell’Antimafia di Catanzaro - è originario dell'entroterra materano quindi potenzialmente poco esperto nel dotarsi di "alici" da procurare per terzi soggetti neanche, artatamente, nominati. Appare evidente che il reale argomento della conversazione non era il pesce azzurro, facilmente reperibile in qualche pescheria della zona costiera in cui insisteva il cantiere di Salvo (Trebisacce, Amendolara, Albidona, Roseto Capo Spulico) bensì il danaro.
l.a.
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